IL XIII SECOLO
Agli inizi del
XIII secolo i rustici della vicinatia vicosepriese con parte dei milites componenti
l’antica arimannia dei dintorni erano intanto evoluti in una autentica
moderna Comunità.
Sotto l’egida di Milano, questi due gruppi avevano acquisito il pieno
diritto a governarsi da sé, nominando propri Reggenti e regolandosi secondo
precise norme dettate dalla consuetudine.
All’inizio essi formarono certamente una Communitas vicinorum ad una Communitas
nobilium, nettamente separate. Poi, per una fusione concordata, si dovette giungere
alla Communitas Castri Sepri, il cui ambito di pertinenza fu costituito dalle
terre private e collettive della vecchia vicinia divenuta vicinatia, nonché
da quelle arimanniche.
L’abitato di Castel Seprio, trovandosi in un luogo di interesse reciproco
ed avendo recuperato l’antica funzione difensiva, divenne il nucleo abitativo
più importante e qui venne fissata la sede ufficiale della nuova Comunità.
L’importanza
dell’abitato di Castel Seprio fu tale che propri nel XIII secolo si ebbe
la sua nomina a borgo, una qualifica di esclusivo diritto pubblico la cui assunzione
finiva per avere conseguenze sostanziali sul carattere politico della relativa
comunità.
Le comunità burgensi fruivano di determinati diritti, come l’esenzione
degli onera rusticana, il pagamento di certe tasse solo come toccava agli abitanti
delle città e la possibilità di accedere a cariche pubbliche cittadine.
Dall’altra parte vi erano degli obblighi specifici, erano infatti tenute
a mantenere o la difesa di alcune strade, o ponti, o luoghi pubblici.
L’assurgere a borgo dell’abitato di Castel Seprio dovette proprio
trovare motivo nello specifico incarico, assegnatogli dal Comune di Milano,
di provvedere alle necessità della rocca.
Proprio in questi anni è possibile che la nuova comunità burgense
adottasse una propria insegna: un campo diviso in due verticalmente, ciscuna
metà divisa in sei bande orizzontali alternate rosse e bianche.
Nel 1224 i nobili del Seprio residenti in Milano si davano per Podestà
Obizzone della Pusterla proclamando il proprio contado del tutto autonomo da
Milano.
Gli episodi bellici che coinvolsero nei decenni successivi Castel Seprio sono
da inserirsi all’interno del clima di lotta tra guelfi e ghibellini che
caratterizzò quegli anni.
Sul finire del luglio 1257, incalzati dagli avvenimenti, i Ghibellini milanesi,
esuli, con l’Arcivescovo Leone dei Valvassori da Perego lasciarono Milano
per rifugiarsi nei contadi di Seprio e di Stazzona e impossessandosi della rocca
di Castel Seprio.
A Milano, intanto, Martino della Torre, nobile ma Capitano del Popolo e quindi
capo della fazione guelfa insieme al Podestà di Milano, usciva dalla
città allo scopo di snidarli.
Il 12 agosto Castelseprio fu raggiunta dai Guelfi i quali, pur conquistando
il borgo, non riuscirono ad espugnare la rocca e dovettero ripiegare: era il
momento di sferrare l’attacco finale ma l’Arcivescovo richiamò
le sue milizie.
Il della Torre, approfittando dell’occasione, chiese a Milano l’invio
del Carroccio e della sua agguerrita compagnia.
Il 24 agosto la battaglia sembrava imminente ma, per opera di vari ambasciatori
lombardi accreditati a Milano, lo scontro fu rimandato.
Il 29 agosto venne conclusa una tregua, e l’anno seguente, il 4 aprile,
a Milano, le lotte parvero finalmente concludersi con la pace detta di S. Ambrogio.
Le rivalità cittadine tuttavia continuarono fino a scoppiare, nell’aprile
del 1259, quando, a causa di gravi disordini, i principali esponenti guelfi
e ghibellini furono esiliati da Milano.
Alcuni mesi più tardi Martino della Torre ritornò in città
con alcuni seguaci, ne conquistò il governo e rinnovò il bando
contro gli avversari scacciati con lui nel precedente aprile; i nobili milanesi
dovettero disperdersi una parte in Lodi e Piacenza ed un’altra nel Seprio.
Gli esuli rimasero a Legnano fino al 1260 tentando di riorganizzarsi.
Nel 1262 il della Torre ordinò vaste operazioni di polizia nella campagna
riuscendo, a costo di gravi uccisioni, a riprendere Martesana ed il Seprio.
Nello stesso anno, Ottone Visconti ea stato destinato come Arcivescovo di Milano
ma Martino della Torre, desideroso di conferire quel ruolo al nipote Raimondo,
impedì al nuovo Arcivescovo di entrare in città e di prendere
possesso dei beni a lui spettanti: Ottone Visconti e i suoi sostenitori divennero
esuli occupando Arona, Angera e Brebbia.
Il 3 aprile i guelfi di Martino della Torre raggiunsero Arona. Dopo un assedio
durato giorni le tre postazioni viscontee caddero ed i rispettivi castelli vennero
spianati fino alle fondamenta.
L’ascesa dei della Torre sembrava irrefrenabile se non che, durante gli
anni successivi, cominciò inesorabilmente a declinare.
Scomparso Martino lo stesso anno della vittoria su Arona, i suoi successori
dovevano incorrere in una serie di mosse tanto impolitiche da far subito aumentare
vertiginosamente il numero degli avversari della sua famiglia.
Abbandonata Milano, molti degli antichi sostenitori del partito guelfo, andarono
a raggiungere gli esuli. Tra questi i da Castiglione, famiglia che da anni aspirava
a diventare Signora di Castelseprio e che, per questo, si era unita nel 1256
al partito guelfo.
Ottone Visconti e gli esuli intanto avevano messo appunto un nuovo tipo di lotta:
brevi sortite, attacchi veloci e mirati, che disorientarono completamente i
torriani. Per difendersi questi guarnirono ogni borgo, ogni terra, di armati
reclutati a prezzo di somme altissime. I della Torre, dopo aver intaccato minacciosamente
le riserve monetarie milanesi, dovettero ricorrere ad onerosissime tasse.
Il malcontento dilagò e sfociò in forme concrete alle quali i
della Torre risposero con nuovi bandi da Milano, a vantaggi dell’Arcivescovo
che vedeva accrescersi il proprio esercito giorno dopo giorno.